La mappatura geospaziale, realizzata grazie ai GIS, è uno strumento fondamentale in ogni scenario di crisi.
Si tratta di un valido aiuto quando occorre prevenire o arginare gli effetti di situazioni disastrose, ad esempio uragani, terremoti, eruzioni vulcaniche, incendi boschivi e tanti altri episodi che possono essere monitorati e debitamente fermati con l’uso della tecnologia che si avvale dei sistemi informativi geografici.
Da questo punto di vista gli scenari di crisi su cui agire sono davvero tanti, ovvio che negli Stati Uniti l’utilizzo di questo strumento è molto più all’avanguardia rispetto all’Europa e al resto del mondo, tanto che la mappatura geospaziale è stata utilizzata perfino per controllare i 9800 migranti che si sono trovati questa estate al confine con il Texas, nel tentativo di entrare nel paese, e oltre ad essi il controllo è stato allargato anche ai tanti volontari che si sono riversati sul luogo per aiutare i migranti.
Infatti, quando le notizie sulle separazioni familiari al confine iniziarono a diffondersi in tutto il paese all’inizio di maggio 2018, la crisi portò un’ondata di persone che cercavano di dare una mano nelle ricongiunzioni familiari. Vi è stata addirittura un’organizzazione non profit in Texas che ha ricevuto oltre 20 milioni di dollari in donazioni attraverso la più grande raccolta di fondi Facebook nella storia. Sono stati lanciati appelli su Twitter per cercare traduttori che parlassero spagnolo e le lingue maya e avvocati che potessero fornire assistenza legale ai migranti. Moltissimi sono stati i volontari che sono andati sulle città di confine su richiesta delle organizzazioni non profit. Anche adesso, mentre centinaia di bambini rimangono separati dai loro genitori, i volontari sono operativi in quei luoghi. È apparso subito chiaro che il governo non aveva alcun piano preciso per riunificare le famiglie e non aveva gli strumenti per acquisire dati per rintracciare genitori e figli separati. Molte organizzazioni non profit sono state sopraffatte dall’aumento repentino dei casi e non hanno avuto il tempo, le risorse o le competenze per gestire i dati di cui avevano bisogno. Questa crisi, al di là delle sue sfide legali ed etiche, è stata anche una crisi di dati e per far fronte alle crisi di dati, c’è bisogno di tecnici.
Ciò ha messo in luce negli Stati Uniti, ma lo stesso vale per il resto del mondo, che in tempi di crisi, rivolgersi solo ai primi soccorritori, tradizionalmente definiti come personale medico, vigili del fuoco, persone che si occupano di assistenza, è riduttivo, in questi casi, infatti, servono anche avvocati e traduttori che sono divenuti indispensabili in questi ultimi anni, soprattutto a causa del numero crescente di crisi di rifugiati e migranti in tutto il mondo. Ma la crisi dei confini ha mostrato che c’è un’altra categoria di lavoratori di vitale importanza, spesso dimenticata quando c’è un disastro: i tecnologi, ovvero esperti di sistemi, progettisti, ingegneri dei dati, capi progetto.
Ogni volta che una crisi richiede personale addetto alla comunicazione, avvocati ed esperti in materia, anche i tecnologi dovrebbero esserci. Certamente non sono necessari per piccoli disastri: in un incendio locale, è improbabile che le persone siano separate o che i servizi debbano essere mappati, perché la conoscenza della comunità è sicuramente completa. Ma per affrontare le crisi su vasta scala occorre avere dei dati a portata di mano che i tecnologi possono ottenere e studiare, soprattutto avvalendosi dei GIS e ricostruendo in tal modo mappe geospaziali di grande utilità.
Lo stesso è avvenuto quando l’uragano Harvey ha colpito il Texas nel 2017, in questo caso i tecnici si sono impegnati nella creazione di app e mappe per aiutare i sopravvissuti a trovare cibo e localizzare i propri cari.